È uscito “La strategia di comunicazione nell’era postdigitale”, il nuovo libro di Maria Pia Favaretto

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È uscito “La strategia di comunicazione nell’era postdigitale”, il nuovo libro di Maria Pia Favaretto

Come costruire la strategia di comunicazione per aziende e brand che operano in contesti iperconnessi e interdipendenti? E quali linguaggi, tecniche e metriche utilizzare?

“La strategia di comunicazione nell’era postdigitale”, il nuovo libro di Maria Pia Favaretto, Direttrice del nostro Master, risponde a queste domande e offre un’appassionante esplorazione nel mondo della comunicazione d’impresa. Un percorso articolato che descrive metodologia, strumenti d’analisi e molti esempi utili alla realizzazione del piano di comunicazione.

Il libro è disponibile su libreriauniversitaria.it e altri store, ed è possibile ordinarlo online a questo link: https://bit.ly/2SaxTj2


Per conoscere meglio l’importanza di questo strumento teorico e pratico, riportiamo in esclusiva l’intervista che Maria Pia Favaretto ha rilasciato sul suo nuovo libro a letture.org.


Prof.ssa Maria Pia Favaretto, Lei è autrice del libro La strategia di comunicazione nell’era postdigitale edito da libreriauniversitaria.it: quali elementi caratterizzano l’era postdigitale?

Innanzitutto chiariamo il termine “postdigitale”. Nel mio libro uso questa espressione per significare che il digitale è ormai profondamente integrato al nostro quotidiano e che i sistemi digitali interagiscono costantemente con quelli biologici, culturali e spirituali e mediano il nostro rapporto con il mondo. Entrato a tutti gli effetti a far parte delle nostre vite, il digitale è alla portata di tutti, immagazzinabile e a basso costo, come una commodity.

Un aspetto che sicuramente caratterizza l’era postdigitale è la crescente datafication. Molti aspetti della nostra esistenza quotidiana generano dati che vengono inseriti in giganteschi database, per poi trarne informazioni. Gli enormi volumi di dati che stiamo generando ogni giorno, ogni volta che navighiamo in rete, che paghiamo con la carta di credito, che utilizziamo il GPS, ogni volta che chiediamo ad Alexa di riprodurre la nostra canzone preferita, che chattiamo o usiamo i social media, aprono nuovi scenari. Da una parte possiamo prendere decisioni più intelligenti grazie ai big data che offrono informazioni e opportunità senza precedenti, dall’altra dobbiamo fare attenzione a ciò che questo comporta, a partire dal tema della protezione dei dati personali.

Vorrei però aggiungere un altro elemento che caratterizza l’era postdigitale. Negli Stati Uniti il termine “postdigital” è entrato nel lessico come aggettivo che connota un approccio umanistico alla risoluzione dei problemi piuttosto che indicare l’attenzione all’analisi numerica e alle soluzioni computerizzate per tutto. Questo a dire che, in un contesto che si fa sempre più digitale e tecnologico a tutti i livelli, dalla robotica ai big data, dalla realtà aumentata a quella virtuale, il vero fattore differenziante è il fattore umano. Parliamo quindi di relazioni “human to human”, come molti studi sottolineano. Per questo l’approccio umanistico al tema della comunicazione d’impresa rappresenta il filo rosso del mio libro.

In che modo è possibile costruire, nel contesto attuale, una strategia di comunicazione per le aziende?

In questo contesto si intuisce che il digitale non è più un fattore differenziante o un vantaggio competitivo per le aziende, ma è un requisito fondamentale per essere oggi sul mercato.

L’azienda è a tutti gli effetti un soggetto sociale interconnesso. Oggi più che mai, l’azienda non è isolata e autosufficiente, ma è inserita in una comunità, che può essere locale, nazionale, globale, virtuale. È impossibile pensarla senza includerla in un contesto più ampio. Questo implica una prospettiva più aperta e la consapevolezza della propria presenza nell’ecosistema che la circonda.

La strategia di comunicazione d’impresa si confronta con i grandi temi e con l’interdipendenza di tutti i soggetti che partecipano. Il progressivo empowerment di tutti gli stakeholder, accompagnato dagli ambienti di discussione in rete, ha modificato il modo in cui le aziende entrano in relazione con i propri pubblici. Il dialogo continuo con gli interlocutori determina la crescente dipendenza dall’interscambio che richiede dinamicità e stimoli al processo di comunicazione.

La comunicazione, che oggi è una leva strategica per tutte le organizzazioni, è sempre più un dispositivo culturale in grado di rappresentare lo scopo e l’identità di un’impresa in rapporto ai contesti in cui opera.

Chi si occupa oggi di disegnare la strategia di comunicazione aziendale non può limitarsi a gestire gli aspetti della persuasione dei consumatori al proprio prodotto o servizio. Sarebbe una visuale miope. È necessario generare capitale reputazionale e capire profondamente come stabilire relazioni generative con le persone per impattare positivamente nel loro vissuto. La comunicazione d’impresa è così chiamata a generare valore per la società e per la vita delle persone, nella loro ricerca di senso.

Come si comunicano missione, visione e valori aziendali?

Philip Kotler, considerato il padre del marketing, definisce missione, visione e valori le linee guida dell’azienda. Ho dedicato un intero capitolo a spiegare bene come definire queste tre dimensioni e perché siano così importanti per la strategia di comunicazione. Avere ben chiare le direttrici aziendali è fondamentale per poter formulare un piano che faccia la differenza e che davvero crei valore. Le imprese di successo hanno sviluppato la loro strategia di comunicazione partendo da missione, visione e valori e dal significato che queste assumono per tutti gli stakeholder. Le linee guida garantiscono focalizzazione e marcata coerenza del processo di comunicazione nel tempo e sono il filo conduttore della narrazione di marca pur assumendo connotazioni, linguaggi e forme dinamiche nel tempo. Quando le direttrici non sono chiare, il rischio è quello di seguire un percorso comunicativo superficiale, omologato e indistinto.

La loro definizione è un processo complesso, ma di primaria importanza. Spesso si tende a saltare questa fase commettendo un errore perché, se non si hanno chiare le linee guida, non si riesce a valorizzare i propri talenti e creare piani di comunicazione efficaci. E questo vale anche per le PMI e le microimprese. È compito di chi definisce la strategia di comunicazione comprendere profondamente queste tre dimensioni. Nel mio lavoro professionale ho sempre dato molta attenzione a questa fase di lavoro che considero fondamentale per il processo di comunicazione.

Sono molti gli investimenti in comunicazione – io ogni tanto sono indotta a pensarlo – che si accontentano di seguire strade convenzionali mentre potrebbero lavorare meglio e essere più impattanti. In questi casi la comunicazione è poco identitaria e scarsamente efficace proprio perché ha perso la connessione al suo nucleo essenziale.

Come si realizza una strategia di branding?

La ringrazio per la domanda perché questo è certamente un tema caldo che mi sono posta a più riprese. Progettare e sviluppare la marca nell’era postdigitale è più complesso rispetto al passato.

Nel modello classico, la marca è un sistema chiuso del quale l’azienda controlla ogni fase attraverso la pubblicità, le sponsorizzazioni, gli eventi, il direct marketing e così via. Oggi, questo modello chiuso e autoreferenziale risulta limitato e non più sufficiente.

Gli approcci e le ricerche più recenti fanno emergere una nuova prospettiva dinamica della marca, la cui identità non è più costruita solo dall’azienda ma prende corpo attraverso le interazioni con tutti gli stakeholder. La marca si apre così a interconnessioni e a rapporti con tutti i propri pubblici in ogni fase di generazione del valore. Il branding e il lavoro dei marketer devono, dunque, favorire la partecipazione e la collaborazione di tutti gli stakeholder e fare tesoro di ogni interazione, insight e dati che ne derivano.

Le marche sono sempre meno concetti e sempre più relazioni. Sono spesso le marche che invitano le persone a connettersi gli uni con gli altri attraverso piattaforme sia fisiche che digitali. A favorire cioè le conversazioni da molti-a-molti. Le marche diventano spazi reali o virtuali dove le persone possono incontrarsi, interagire e sviluppare attività comuni supportate e abilitate dal brand stesso. Questo porta a strategie di branding rinnovate e che devono per forza di cose basarsi su una profonda conoscenza dei propri interlocutori. Analisi, strumenti e attività in questo senso richiedono competenze e professionalità da parte dei marketer perché è necessario capire il contesto in cui il brand opera e assume rilevanza.

In quali diverse fasi si articola il piano di comunicazione?

Il piano di comunicazione è l’elemento chiave della strategia che definisce, descrive e pianifica la comunicazione di un’azienda o, più in generale, di un’organizzazione. In pratica è lo strumento che consente di programmare, gestire e monitorare la strategia di comunicazione nonché le azioni previste e finalizzate al raggiungimento degli obiettivi.

Si tratta di un vero e proprio processo composto da passaggi in successione e in sequenza logica. Per rispondere puntualmente alla sua domanda, sono quattro le fasi che lo compongono. Ho utilizzato queste quattro fasi anche per la messa a punto di altrettanti capitoli della seconda parte del volume.

La prima fase è quella dell’analisi, la seconda è quella della strategia, la terza è la fase operativa e la quarta quella di valutazione e verifica.

Ciascuna si configura con metodi, teorie, modelli, matrici d’analisi e strumenti operativi utili alla loro messa a punto. Le quattro fasi vanno considerate come un processo circolare le cui parti sono interrelate tra loro. La natura ciclica prevede che al termine del processo ci siano le basi per dare avvio a un piano successivo.

Una cosa però mi preme sottolineare e cioè che il piano di comunicazione si configura come uno strumento dinamico e flessibile e, quindi, non statico ma capace di accogliere e gestire eventuali opportunità o imprevisti senza perdere di vista scopo e obiettivi.

Saper redigere un piano di comunicazione richiede la capacità di orchestrazione della comunicazione dal punto di vista strategico e operativo e, per questa ragione, il volume intende offrire indicazioni operative e percorsi innovativi per la sua stesura.

Spero di essere riuscita a costruire una risorsa utile e stimolante a chi oggi si occupa di praticare il mestiere della comunicazione. Un mestiere che mi ha coinvolta profondamente e continua ad appassionarmi anche dopo tre decenni di lavoro sul campo accompagnati dall’attività di ricerca e di docenza.